Quante volte aveva immaginato quella
scena, quante volte aveva pensato a come sarebbe stato buttare fuori
tutto il suo passato. Alessandra si trovava li in quella stanza
seduta sulla poltrona, aveva accettato l'invito del suo amico Claudio
di vedersi da lui per un caffè, ma dentro al suo cuore sentiva che
non sarebbe stato un semplice caffè.
Arrivò lui con le tazzine e si sedette
di fronte a lei e la guardò dolcemente poi disse: "Cosa ti è
successo amica mia per ridurti a non credere in te stessa per farti
sempre dubitare sugli altri e su di te, ti conosco da poco ma so per
esperienza che qualcosa ti è successo".
Con le lacrime già presenti Alessandra
si strinse su quella poltrona, in quei vent'anni aveva cercato di
mascherare il tutto, pochi conoscevano il suo passato, come faceva
lui a sapere? Era colpa della sua professione?
Prima di potersi rispondere Claudio le
prese le mani fra le sue poi con voce dolce disse: "Sono qui e
non devi farlo se non ti va, guardami ti prego", con occhi ormai
gonfi di lacrime lei lo guardò e poi con voce tremante "Sei
sicuro? Dopo il mio racconto potresti non volermi più fra le tue
amicizie". Claudio ritrasse le mani e con disgusto la guardò e
poi con voce secca: "Se dici cosi non hai capito nulla di me, e
mi dispiace ammetterlo ma ti credevo più matura, puoi anche
andartene, ho sbagliato a darti la mia amicizia".
Nell'udire quelle parole Alessandra si
sentii come un cucciolo spaventato, non voleva ferire quell'uomo, gli
voleva bene e poi sentiva che era giunto il momento di parlare. Così
si mise comoda e diede le mani a quell'uomo che gli sedeva di fronte,
fece un grosso respiro, e poi con voce tremante iniziò il suo
racconto:
"Non so da dove iniziare, vediamo
se riesco. Ovviamente tu fermami se divento troppo noiosa"
Claudio le sorrise e le strinse le mani, si sentiva a suo agio e
protetta e così continuò:
"Avevo circa quindici anni e i
miei si erano separati da poco, ero felice di questa scelta mio padre
era un alcolizzato e sai quante volte mi ha picchiata, mi ha
insultata, perché gli ricordavo sua sorella, o semplicemente perché
la mia vista lo infastidiva, quanto ho pianto, quante notti in
bianco, quante litigate fra mia madre e lui, mi sono alzata molte
volte nel cuore della notte per consolarla, la stringevo a me quando
piangeva come una bambina, ma poi ecco il suo coltello che mi
pugnalava, mi guardava seria e diceva <se tu non fossi nata, se io
e tuo padre avessimo continuato ad andare a scuola e non ci fossimo
dovuti occupare di te, lui ora non sarebbe così, la colpa è tua>
così su quelle parole si alzava e tornava a letto da lui, e io
rimanevo li in quella fredda cucina, fra singhiozzi e domande: ma
perché mi trattava così? Io non chiesi di venire alla luce, decise
lei con tutte le sue forze, sai quante volte da bambina avrei voluto
morire ma poi mio padre e mia madre cambiavano diventavano dolci
improvvisamente e così mi dimenticavo delle cattiverie.
Pensa un capodanno dovevamo partecipare
ad un classico cenone ma io non stavo bene: mi ero presa il morbillo
e mio padre mi comprò cinque ciliege tutte per me, non poteva
acquistarne altre, non avevamo molti soldi, ero così felice e
speravo quel momento durasse per sempre.
Ovviamente non fu così nei giorni che
venirono mio padre continuò a bere e a sperperare quei pochi soldi e
così mia madre prese la decisione più saggia: si separò.
Ero entusiasta perché così saremmo
rimaste sole e forse lei avrebbe potuto amarmi.
Le lacrime stavano scendendo a fiumi,
lei non riusciva più parlare, Claudio le passò dei fazzoletti, poi
dolcemente disse: "Lo so non è stato facile ma ora è finita",
lei lo guardò alzando un sopracciglio e chiese: "Quanto tempo
hai? La mia storia è appena all'inizio e se vuoi e puoi io vado
avanti."
Claudio quasi si pentiva di aver
provocato la sua amica per farle sputare fuori il veleno del passato,
come poteva ancora esserci dell'altro? Già così era sufficiente per
uccidere l'autostima di chiunque, avrebbe voluto fermarla ma sapeva
che era peggio, una volta aperto il vaso di Pandora bisogna
accettarne le conseguenze.
Le riprese le mani fra le sue e
dolcemente rispose: "Ho tutto il tempo che ti serve, sono qui mi
raccomando non sentirti obbligata." Alessandra era da molto che
attendeva quel momento, a causa di quei segreti non aveva mai amato
veramente e non aveva voluto diventare madre, temeva di essere come
la sua, viveva da sola l'unico essere vivente che era riuscito a
rapirle il cuore era un certosino che aveva raccolto per strada. Per
vivere faceva l'agente di commercio per una ditta di articoli
sportivi, chi la vedeva per la prima volta aveva l' impressione di
una donna divertente, allegra, con tanta voglia di vivere, ma quei
pochi che avevano avuto modo di conoscerla sapevano che era solo una
facciata, guardò quell'uomo che gli sedeva li davanti e si chiese
perchè proprio con lui? Cosa aveva di diverso? Semplicemente
sembrava affidabile e non aveva altri interessi nei suoi confronti.
Così lo guardò e ritrasse le mani, si alzò e nervosamente iniziò
a tirarsi il pollice, lo faceva fin dall'infanzia nei momenti di
difficoltà, lui rimase seduto, non voleva obbligarla doveva parlarne
se lo voleva veramente.
Con un filo di voce quella giovane
donna riprese il monologo: " Claudio ho paura non so se riuscirò
ad andare avanti, se poi tu perdessi la stima, la fiducia che hai in
me?"
Claudio si alzò e la guardò negli
occhi prendendola dolcemente per le spalle, "Perderei la stima
in te se tu avessi ucciso qualcuno o rubato dei soldi, ma anche li
ascolterei le tue ragioni. Lo sai che non ti giudicherò mai, sei una
persona splendida, che ha smesso di credere in se stessa, che ha
smesso di vivere e mi sa che è giunto il momento di tornare a volare
piccola farfalla." Alessandra
scoppiò in un interminabile pianto, dove Claudio stette sempre in
silenzio ma accanto a lei. Rassicurata da quella presenza decise di
proseguire nel suo racconto:
"Avevo circa tredici anni quando
mia madre mi disse della sua decisione: ne gioii, non sopportavo più
mio padre e le sue violenze, pensavo che fosse finito il mio momento
buio ma come mi sbagliavo, passammo un anno indimenticabile io e mia
madre, sembravamo quasi sorelle visto che ci separavano solo diciotto
anni, ma ecco che lei iniziò a frequentare un uomo, ovviamente
l'inizio non mi piaceva, o meglio alla mia vocina interiore, perché
non le diedi retta? Lei non sbaglia mai. Passavano i mesi e lui era
molto dolce con me, mi coccolava e ogni tanto convinceva mia madre a
lasciarmi più libera e io finalmente pensavo di avere un padre, ma
come mi sbagliavo.
Devi sapere che da giovane praticavo
equitazione e cosi un giorno di ottobre me lo ritrovai nel box. Le
sue mani si posarono su di me, mi strinse forte mi spinse sul fondo e
mi disse di stare zitta e le sue mani si infilarono sotto la mia
maglietta e cercarono di entrare nei miei pantaloni ma ecco che la
voce del mio istruttore mi chiamò.
Corsi via con Consuelo che dolcemente
mi seguiva e con il muso mi consolava. Piansi tutta la lezione
fingendo un malessere, in auto sedetti accanto a quell'uomo rimasi in
silenzio tutto il tragitto. Quella sera a casa finsi con mia madre un
altro malessere e andai a letto senza cenare e mi addormentai con le
lacrime.
Al mattino seguente avrei voluto dirlo
a mia madre, era la cosa giusta, ma trovai un biglietto: i due
avevano deciso di andare a fare un week-end romantico e io sarei
rimasta con i nonni.
Non avrei potuto desiderare di meglio.
Passai due giorni tranquilla, poi il lunedì tornai al maneggio e
cercai di non stare sola con quell'uomo, anche lui mi ignorò e io mi
rilassai, quella sera arrivammo a casa prima di mia madre, mi ero
appena fatta una doccia ed ero in camera mia che mi vestivo quando
due mani mi afferrarono e mi buttarono contro il muro, "Credevi
di fuggirmi? tu sei mia ricordatelo e cerca di capirmi bene se parli
dirò a tua madre che non è vero e sai che lei crede più a me che a
te" su quelle parole mi prese, tra le mie lacrime e il mio
dimenarmi, capi in fretta che non si sarebbe fermato, lo lasciai fare
e quando ebbe finito corsi a fare un altra doccia, l'acqua era
talmente calda che quando ne uscii sembravo un gambero, quella sera
finsi un altro malessere e andai a letto senza cena.
E le sere aumentarono, sembravo
invisibile per mia madre, iniziai così a non mangiare e quando
mangiavo cercavo di correre subito ai ripari. Mentre ne parlava
sembrava di essere tornata ragazzina, iniziò a tremare nonostante da
Claudio facesse caldo, si sentiva soffocare, le lacrime ormai avevano
bagnato il volto, Claudio la strinse forte a se, le spiaceva sentire
quanto dolore aveva provato, certo che vederla così decisa sicura e
sempre allegra era riuscita a ingannare molta gente, ma non lui forse
perché come insegnante di psicologia e medico aveva visto dei
segnali in lei che lo avevo turbato fin dal primo incontro:
si erano conosciuti ad un convegno di
agenti di commercio dove lui era stato invitato come esperto e per
cercare di spiegare ad un branco di sanguisughe come capire i clienti
in tre ore. Ed ecco che in quel branco due timidi occhioni verdi, un
tempo avevano sicuramente brillato ma ora erano spenti. Cosi avevano
scoperto di vivere nella stessa città e da allora quando entrambi
avevano una mattina libera si vedevano e parlavano un po', di solito
lo facevano nei bar ma al loro ultimo incontro lui aveva un po'
provocato la sua amica nella speranza lei si aprisse definitivamente
e cosi l'aveva invitata da lui.
Finalmente si era calmata la guardò e
le chiese: "Tutto bene Alessandra? Sono felice tu ti sia decisa
a parlare del tuo passato con me, spero tu ti senta meglio".
Alessandra sorrise; "Si sto meglio ma come avrai capito il mio
racconto non è ancora terminato, ma forse per oggi è meglio
terminare qui".
Claudio fece una smorfia e poi disse:
"Fai tu, io oggi sono tutto il giorno libero e vista l' ora
possiamo ordinare qualcosa per pranzo e così una volta per tutte ti
liberi del tuo passato, ma fai tu io ti do la mia mano, sta solo a te
afferrarla o no". Con un sorriso Ale lo baciò sulla guancia e
poi disse "Ok ci sto ma solo se mangiamo giapponese ".
Così scelsero il loro pranzo e mentre
aspettavano lei con molta calma andò avanti con la sua vita: "
A scuola iniziai ad andare male, passai
da una media del sette a una media del cinque, mia madre mi punì non
mandandomi più a equitazione, ecco che iniziai a fumare, a cibarmi
solo nei week-end e quando alla sera mia madre era a casa, un giorno
ero a casa sola, lui e lei erano andati via per due giorni, sapevo
che i nonni non sarebbero arrivati prima di sabato e così decisi che
era giunto per me il momento di dire addio a questo mondo, ma quando
presi la lametta fra le mani, sentii la porta di casa aprirsi andai a
vedere e li in mezzo al corridoio c'era mio nonno, che con un sorriso
mi informò che aveva preso ferie ed era venuto a tenermi compagnia;
ero così felice che gli corsi incontro e mi misi a piangere fra le
sue braccia, grazie a lui non mi tolsi la vita, gli sono grata".
Claudio notò che non piangeva ma
parlava con voce ferma e non più squillante ma con un tono molto
basso, si stava riprendendo la sua vita, in quel momento arrivò il
loro pranzo, così si misero a tavola, tra risate e chiacchiere lei
decise di proseguire, Claudio ne era felice voleva dire che
finalmente stava uscendo da quel bozzolo che si era avvolta attorno a
se:
"Così quel giorno dissi al nonno
che non mi piaceva la scuola dove andavo e che stavo andando male e
il nonno mi disse: «Dai manca un mese ormai finiscila, tanto lo sai
già che perderai l'anno e poi ho visto che le cose con tua madre non
sono migliorate e fino a che tuo padre non smette di bere non puoi
andare da lui, che ne dici se a settembre venissi a vivere da noi?»
Ne ero felice, sarebbero stati quattro
mesi veloci, ormai era un anno che subivo violenze sessuali da
quell'uomo, e poi sarebbe finita.
Così alla fine dell'estate mi trasferì
da loro, passai da aver paura di addormentarmi al piacere di
svegliarmi. La colazione era semplice, ma ricca di chiacchierate e
risate. A settembre iniziai la scuola, ambiente nuovo, compagni
eccezionali iniziai subito a farmi notare sia con i voti che con la
mia personalità trascinatrice: divenni capo classe.
Amavo quella vita, ricominciavo a
mangiare e non ero l' unica che iniziava a rimettere a posto i
tasselli della sua esistenza. L'uomo che contribuì a darmi la vita
aveva smesso di bere e alla sera andavamo assieme agli incontri degli
alcolisti anonimi. Le prime volte erano state imbarazzanti ma poi
l'imbarazzo aveva lasciato il posto alla gioia di vederlo tornare
vivo e finalmente sentivo un po' di affetto nei miei confronti. Ma
come in ogni favola che si rispetti ecco ricomparire la strega
cattiva:
Un pomeriggio rientrando a casa da
scuola trovai mio nonno in salotto con gli occhi lucidi e con filo di
voce mi disse: «Ha telefonato tua madre e domani verrà a prenderti,
si sta trasferendo e visto che tu sei ancora minorenne vuole che tu
la segua».
Cosa voleva quella donna? cosa avrei
dovuto fare? Ma stava scherzando? Cercai di calmarmi davanti al
nonno, lui non sapeva nulla e mai lo seppe.
Così il giorno seguente attesi
l'arrivo di "Ursula": come lei quando si arrabbiava
diventava enorme e con i tentacoli distruggeva tutto ciò che la
circondava. Così arrivò: molto fredda salutò i nonni e venne nella
mia camera, quando vide che gli abiti erano riposti nei cassetti e
nell'armadio invece che nelle valige divenne rossa in viso e iniziò
a togliere e mettere magliette da una parte all'altra. Con molta
calma mi alzai dalla sedia dove mi godevo la scena e dissi:
"Buongiorno mamma, anche per me è un piacere rivederti".
Con aria seccata mi guardò e parlò o
meglio sputò del veleno: "Vedo con piacere che stare con i tuoi
nonni ti ha fatto bene, sei più pungente del solito, ora preparati
che dobbiamo andare".
Al ricordare quella giornata prese
fiato, si sedette meglio e continuò il suo racconto.
"Mamma io non vengo, non voglio
lasciare la scuola, la voglio finire e tu non mi puoi obbligare.
Ovviamente a quelle parole lei si alterò molto, mi diede una sberla
e rispose: “Tu sei minorenne e fai quello che dico io, io sono tua
madre ricordatelo”.
Quelle parole furono la scintilla che
fece esplodere la bomba che era in me. Così. fra lacrime e rabbia
dissi a quella donna che avrebbe dovuto amarmi, proteggermi come la
natura insegnava:
"Ora sei mia madre? Quando mi
dicevi che ti ho rovinato la vita chi eri? Quando papà mi picchiava
dove eri? Quando ho iniziato a spegnermi come una candela perché il
tuo compagno si prese la mia innocenza cosa stavi facendo?".
Mi guardava con occhi pieni di violenza
ma io continuai, ero decisa e volevo liberarmi di quel peso e così:
"Lui mi ha violentata, ha abusato di me per molto tempo ecco
perché sono venuta dai nonni, e non ho nessuna intenzione di venire
a vivere con te e lui".
Un'altra sberla si parcheggiò sulla
mia guancia e del veleno amaro mi sommerse, mi ferirono più quelle
parole che i ceffoni:
"Sei solo una piccola puttana, non
ti credo, anche se lui ha abusato di te la colpa è tua e solo tua,
sei tu che l'hai provocato: il tuo modo di vestirti, i tuoi sorrisi.
Tu hai provocato, lui è solo colpevole di averti voluto bene".
Le lacrime scendevano: “Claudio devi
sapere che presi tutto il coraggio che avevo dentro me e le risposi:
"Mamma che stai dicendo? Lui era è
un uomo io una ragazzina, ti rendi conto o sei scema? Avessi anche
provocato io lui doveva fermarsi e parlarne a te e poi tu a me, ma
non usarmi. No non sei mia madre, non so chi sei e spero solo di non
diventare come te ".
Ormai il gelo era calato fra noi la
rabbia era visibile sui volti di entrambe. Cosi lei mi guardò ancora
una volta e poi come se finalmente si stesse liberando di un peso mi
rispose:
"Lunedì sentirò il mio avvocato
e tuo padre così formalizzeremo la cosa, ti auguro una vita serena e
quando sarai madre vedremo se farai le scelte giuste, addio!".
Così uscì dalla mia vita, io rimasi
dai nonni, finì la scuola e andai a vivere per conto mio. Dove
iniziai a frequentare un ragazzo, dopo poco tempo venne a vivere da
me. Fu pesante quella convivenza, ogni volta che mi toccava tremavo,
nel buio piangevo e così le dissi della mia violenza ma al suo:
"Scusa ma perché non lo hai denunciato e poi perché hai subito
per tutto quel tempo? dimmi la verità alla fine ti e' piaciuto?”
Come poteva dirmi così la persona che
amavo, se non mi credeva lui come potevo pensare che mi credessero le
persone in futuro? Così presi la drastica decisione di non parlarne
più con nessuno.
La seppellii nel mio cuore e fu
l'inizio della mia fine. Mi chiusi in me e cercai di costruire
un',Alessandra forte, quasi aggressiva per il mondo che mi
circondava."
Claudio la guardò e vide finalmente
una luce negli occhi di quella meravigliosa donna, finalmente tornava
a vivere ma aveva una domanda per lei e così decise di chiedere se
poteva: "Alessandra posso farti una domanda?” Lei con un
sorriso annuì e lui fece la domanda: "Tua madre l' hai mai più
vista?".
Alessandra fece un sorriso si sedette
più dritta sul divano dove si era trasferita durante il racconto e
rispose: "Mi aspettavo questa domanda, si si è fatta viva con
un bigliettino dove mi annunciava le sue nozze con quell'uomo. Nel
leggerlo stetti male, lo strappai e non andai a quelle nozze. So da
mia nonna, la quale ignora o fa finta di non sapere, il vero motivo
della separazione tra me e mia madre che si sono risentiti nel non
vedermi. Da allora non ho più avuto sue notizie, mia nonna ogni
tanto ci prova ma io ho chiuso con lei."
Sospirò poi guardò Claudio e si rese
conto che quell'uomo in tutto il racconto non l'aveva mai giudicata,
non disse mai nulla, ogni tanto l'aveva coccolata, stretto le mani
fra le sue sempre nel silenzio.
Con lui stava bene, si sentiva di nuovo
viva, prese le mani di Claudio fra le sue e sussurrò all'orecchio di
lui: "Grazie mio dolce amico", lui sorrise e rispose: "No
sono io a ringraziare te, della fiducia che mi hai dato, del tuo
segreto svelato e per la tua meravigliosa compagnia".
Alessandra era finalmente pronta per
amare ed essere amata, si era liberata di un grosso macigno.
Patrizia Jorio